CURAMI – HEAL ME
L’arte che cura, il corpo che si fa simbolo di resistenza e rinascita
“L’arte esprime, non reprime. Colora, non lascia lividi. Cura, non distrugge.”
Con “CURAMI – HEAL ME”, Davide Cocozza porta la sua ricerca performativa a un nuovo livello, abbracciando con ancora più forza il concetto di arte come terapia, come spazio di guarigione collettiva e di denuncia sociale.
Dopo il successo di “L’ARTE METTE A NUDO”, presentata a MArteLive, Atelier Montez di Roma e al Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara, l’artista rompe ulteriormente le distanze, gli strati di protezione, le pennellate che nelle azioni passate velavano il contatto diretto con il pubblico. Ora, il corpo si espone senza filtri, diventa ferita e al tempo stesso cura, in un’azione corale che trasforma il dolore in consapevolezza, la fragilità in un atto di resistenza.
L’arte come cura, il corpo come luogo di trasformazione
“CURAMI – HEAL ME” è un’esperienza immersiva, sinestetica, viscerale, che mette al centro il contatto umano e la necessità di solidarietà in un mondo sempre più alienato e frammentato.
Insieme alle performer Ariel Del Fantabosco, Ilenia De Luca, Elisabetta e PSICHE, Cocozza costruisce una rete umana fatta di corpi, bende, colori e cerotti, un paesaggio vivente in cui il dolore non viene nascosto, ma riconosciuto e accolto come parte dell’esistenza.
• Il corpo non è più solo metafora, ma sostanza, ferita viva, testimone del vissuto umano.
• Le bende non solo coprono, ma suturano, creando legami visibili tra chi soffre e chi cura.
• Il colore non è solo estetica, ma diventa il linguaggio della guarigione, un gesto pittorico che sostituisce il livido con la bellezza, la violenza con la compassione.
“Il dolore non si nega, si condivide. La cura non è individuale, ma collettiva.”
Il grido sociale: bisogno di umanità e interconnessione
“CURAMI – HEAL ME” è una denuncia e un’esortazione. In un tempo segnato dall’odio, dalla distanza e dalla frammentazione, l’arte diventa un atto di resistenza umana.
• Lo spazio della performance diventa uno spazio di coesistenza, in cui il corpo dell’altro non è più un nemico, ma una possibilità di connessione.
• La ferita non è più solo individuale, ma collettiva: l’artista la espone, la condivide, la trasforma in esperienza comune.
• Il performer e il pubblico si mescolano in un rito di cura reciproca, dove il confine tra chi soffre e chi aiuta si dissolve.
“Nessuno guarisce da solo. Nessuno si salva senza toccare e farsi toccare.”
Il corpo come azione politica, la performance come rito di rinascita
Nella tradizione della Body Art e delle performance estreme, da Marina Abramović a Hermann Nitsch, il corpo è sempre stato uno strumento di resistenza e catarsi.
Cocozza porta questa eredità in una dimensione più intima e collettiva, trasformando il gesto performativo in un atto di guarigione condivisa.
• L’arte non è più solo denuncia, ma diventa uno spazio attivo di trasformazione.
• Il dolore non è sublimato, ma esposto nella sua realtà, per essere visto e riconosciuto.
• La performance non è solo un’esperienza estetica, ma un atto che coinvolge, sporca, avvolge, cura.
Il risultato è compositivo, floreale, naturale, come animali che si leccano le ferite, come un’umanità che finalmente si riscopre capace di compassione.
“Il corpo parla, urla, sanguina. Ma può anche guarire, se trova uno spazio di ascolto e accoglienza.”
Conclusione: la performance come necessità, come urgenza di cura
“CURAMI – HEAL ME” non è solo una performance, ma un’esperienza di presa di coscienza, un rituale di resistenza contro l’indifferenza, un atto di ribellione contro la solitudine dell’epoca contemporanea.
Davide Cocozza non dipinge solo tele, ma corpi, non si limita a creare immagini, ma esperienze, non racconta semplicemente un dolore, ma lo condivide per renderlo trasformativo.
Perché l’arte, se è viva, non è solo espressione. È azione. È contatto. È cura.










